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razzi adornati insieme e protetti da forti balaustre. Qua e là la continuità degli edifici è interrotta da bassi colonnati che permettono la circolazione dei venti, e lasciano intravvedere altri lati del palazzo, ponendone in rilievo tutta la maestà e la ricchezza.

Il giardino non è meno bello. Viottoli ombrosi serpeggiano attraverso prati e cespugli, sopra i quali si elevano alcuni alberi altissimi, rari esemplari di palme e gruppi di carrubi, noci e albicocchi. Il terreno va lentamente degradando dal centro, dove è scavato un profondo bacino di marmo, interrotto tratto tratto da piccole bocche, che, aperte, versano l’acqua nei rigagnoli scorrenti paralleli al sentiero, sapiente artificio per sottrarre il luogo all’aridità troppo prevalente in tutta quella regione.

Non lontano dalla fontana scintilla la superficie di un piccolo stagno che alimenta un gruppo di canne e di leandri, sul genere di quelli che crescono sulle rive del Giordano e del mar Morto. Fra le piante e lo stagno, indifferenti ai raggi che il sole piove loro addosso attraverso l’aria afosa, due giovani, uno di diciannove, l’altro di diciasette anni, ragionano fra loro in serio colloquio.

A prima vista si direbbero fratelli: belli l’uno e l’altro, entrambi neri di chiome e di occhi, dai volti abbronzati, di statura proporzionata alla differenza della loro età. Il maggiore ha la testa scoperta. Una tunica sciolta, cadente fino ai ginocchi, e un mantello azzurro, gettato negligentemente per terra, formavano il suo abbigliamento. Il costume lascia esposte le braccia e le gambe, brune come il volto: ciò nonostante una certa grazia di modi, il taglio aristocratico del viso, l’inflessione della voce, dimostrano chiaramente la sua condizione. La tunica, di soffice lana, grigia al bavaro e alle maniche, con gli orli listati di rosso, stretta intorno alla vita da una corda di seta, lo dice Romano. E se nel discorrere, lancia tratto tratto uno sguardo pieno di alterigia sopra il compagno, e gli parla come ad un inferiore, lo si può quasi scusare, perchè appartiene ad una stirpe nobile persino in Roma, una circostanza che in quei tempi giustificava ogni arroganza.

Nelle terribili guerre fra il primo Cesare e i suoi grandi nemici, un Messala era stato amico di Bruto. Dopo Filippi, senza disdoro al suo nome, egli si riconciliò col vincitore, e più tardi, quando Ottavio lottò per l’impero, Messala gli diede il suo appoggio. Ottavio, diventato impe-


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