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abbattuti, alcuni contorcendosi e gemendo, altri chiedendo aiuto, altri muti come morti, destava continuamente la loro ira. Ma non tutti i caduti erano Ebrei, Questa era una consolazione.

— «Cani d’Israele, fermatevi!» — gridò dietro loro il centurione mentre si ritiravano.

Ben Hur gli rise in faccia e rispose nella sua lingua: — «Se noi siamo cani d’Israele, voi siete sciacalli di Roma. Resta qui: torneremo un’altra volta.

I Galilei, schiamazzando e ridendo, proseguirono la loro via.

Fuori della porta si agitava una moltitudine di cui Ben Hur non aveva mai veduta l’uguale, neppure nel circo di Antiochia. Le cime delle case, le strade, tutto il versante della collina, erano gremiti di gente che si lamentava e piangeva. L’aria risuonava delle loro grida ed imprecazioni. La compagnia venne lasciata passare senza ostacolo dalla guardia. Ma non appena fu uscita, il centurione, prima di guardia sotto il porticato, si presentò alla porta, e voltosi a Ben Hur:

— «Olà, insolente! Sei un Romano od un Ebreo?» —

Ben Hur rispose: — «Sono un figlio di Giuda, nativo di qui. Che vuoi da me?» —

— «Rimani e combatti!» —

— «Uno per volta?» —

— «Come vuoi!» —

Ben Hur rise.

— «O valoroso Quirite! Degno figlio del bastardo Giove Romano! Io non ho armi.» —

— «Avrai le mie,» — rispose il centurione. — «Io me le farò prestare qui dalla guardia.» —

La gente, intorno udendo il colloquio, divenne silenziosa; e da essa il silenzio si propagò alle file più lontane.

Ultimamente Ben Hur aveva battuto un Romano sotto gli sguardi di Antiochia e del lontano Oriente. Se ora egli avesse potuto umiliarne un altro sotto gli occhi di Gerusalemme, l’onore che gliene sarebbe venuto poteva essere di grande utilità alla causa del Nuovo Re. Egli non esitò. Andando direttamente dal centurione, disse: — «Sono pronto. Prestami la tua spada e lo scudo.» —

— «E l’elmo e la corazza?» — domandò il Romano.

— «Tienili. Non potrebbero calzarmi bene.» —

Le armi furono consegnate, ed il centurione si mise in posizione.