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— «Un altro errore commesso, eh, Gesio? Una condanna ingiusta?» —
— «Se potessi persuadermi che non fosse che un semplice errore non avrei una tal paura.......» —
— «Un delitto allora? oppure una trasgressione a qualche ordine impartito? tu puoi offendere Cesare e maledire gli Dei, e vivere, ma non così se l’offesa si riferisce alle aquile.... ah tu sai, Gesio!.... ma, prosegui!...» —
— «Son ormai otto anni dacchè Valerio Grato mi scelse come custode dei prigionieri, qui, nella torre» — disse l’uomo, calmo — «Rammento ancora il giorno in cui entrai in servizio. V’era stato un tumulto il dì innanzi ed erano accadute delle zuffe per via. Noi uccidemmo parecchi Ebrei ed avemmo vittime per parte nostra. Il baccano avvenne, così almeno mi dissero, per un tentato assassinio contro Grato, ch’era caduto da cavallo a cagione, di una tegola gettatagli addosso da un tetto. Io trovai Grato seduto dove precisamente siedi tu, o tribuno, con la testa fasciata. Egli mi comunicò la mia nomina e mi diede queste chiavi, numerate in corrispondenza delle celle; erano i distintivi del mio ufficio e non avrei mai dovuto abbandonarli. Sul tavolo v’era un rotolo di pergamena. Chiamandomi a sè, egli aprì il rotolo. — «Qui vi son le piante delle celle» — disse. Ve ne erano raffigurate tre. — «Questa — proseguì — mostra la disposizione dell’ultimo piano; questa vi da a comprendere come sia fatto il secondo piano, e quest’altra è quella del primo. Ve le affido.» — Io le presi. — Egli continuò:
— «Ora avete le chiavi e le piante; andate subito e famigliarizzatevi di tutto l’ordinamento delle carceri; visitate ogni cella ed osservate in che condizioni essa si trovi. Quando occorra qualche riparo, per assicurarvi meglio del prigioniero, ordinate secondo quel che meglio vi sembra, poichè, finch’io comanderò, sarete il capo delle prigioni e niun altro in esse avrà l’autorità vostra.» —
Io lo salutai e mi volsi per andarmene, ma fui richiamato addietro.
— «Ah, mi dimenticavo — soggiunse — datemi la pianta del secondo piano.» —
Gliela diedi ed egli la distese sul tavolo.
— «Qui, Gesio, vedete una cella» — e pose il dito su quella segnata col numero V.
— «In essa vi son tre uomini, di carattere rivoluzionario. Impadronitisi di un segreto di Stato, scontano ora