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Un clamoroso urrà accolse le parole. Vi fu un movimento nella folla che si spartì a destra e sinistra, e Messala apparve.

— «Cinque siano» — egli disse.

E Samballat, sorridendo, si preparò a scrivere.

— «Se Cesare morisse domani, Roma non sarebbe del tutto derelitta. Vi è almeno uno degno di prendere il suo posto. Dammi sei.» —

— «Siano sei» — rispose Messala.

Vi fu un altro urlo più forte del primo.

— «Sei siano» — ripetè Messala. — «Sei contro uno — la differenza fra un Romano e un Giudeo. Ed ora che l’hai scoperta, o protettore della carne suina, passiamo alla posta. — La somma, presto. Il console potrebbe mandarti a chiamare e, noi resteremmo privi della tua presenza.» —

Samballat prese in buona parte la risata che tenne dietro a queste parole, e scrisse tranquillamente, poi offrì le tavolette a Messala.

— «Leggi, leggi!» — gridarono tutti.

E Messala lesse:

— «Mem.» — Corsa di cocchi. Messala di Roma, scommette con Samballat pure di Roma, dicendo che batterà l’Ebreo Ben Hur. Posta, venti talenti. Quotazione di Messala, uno contro sei.

Testimoni.                         Samballat.


Non una parola, non un respiro turbò il profondo silenzio della sala.

Nessuno si mosse.

Messala fissava le tavolette, mentre gli occhi del fornitore fissavano lui.

Egli sentì quello sguardo, e pensò rapidamente. Da questo posto egli aveva dettata la legge ai suoi compagni. Essi lo avrebbero ricordato. Se egli si rifiutava di firmare, la sua superiorità era sparita per sempre. Eppure egli non poteva firmare, non possedeva la somma di cento talenti; neppure un quinto di essa. La sua mente si oscurò. La lingua si rifiutò di parlare, le guancie impallidirono. Un istante rimase in questo stato, poi gli venne un’idea.

— «Cane di un Ebreo!» — egli disse. — «Dove hai tu venti talenti? falli vedere.» —

Il sorriso provocante di Samballat si accentuò.

— «Ecco» — disse offrendo un foglio a Messala.

— «Leggi, leggi!» — risuonò tutto all’intorno.



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