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slanciata, così audace, con la sua adulazione sagace, il suo spirito pronto, con la sua meravigliosa bellezza. Egli portò la mano alle sue labbra e disse:
— «Tu sarai una seconda Tirzah per me, Ester.» —
— «Chi è Tirzah?» —
— «La sorellina che il predone Romano mi rubò e che io devo ritrovare.» —
In quella un fascio di luce si proiettò sul terrazzo. Si voltarono, e videro Simonide avvicinarsi nella sua poltrona, spinta da un domestico. Dalla porta aperta si scorgeva la stanza illuminata.
Allo stesso tempo la galera nel fiume alzò le ancore, girò su sè stessa, e fra un lungo urlo dei marinai e un confuso agitarsi di torce, si avviò verso l’alto mare — lasciando Ben Hur avvinto alla causa del Re che doveva venire.
CAPITOLO X.
Il giorno prima dei giuochi, durante il pomeriggio, tutti i beni mobili di Ilderim furono trasportati in città e depositati in un Khan vicino al Circo. I suoi servitori, vassalli armati, cavalli, buoi, pecore, cammelli formavano una lunga processione pittoresca e rumorosa, che destò l’ilarità di quante persone la incontrarono per via. D’altra parte lo sceicco, di solito così irascibile, accoglieva queste dimostrazioni con la massima equanimità e buon umore. Egli pensava infatti, che se, come aveva ragione di credere, egli si trovasse sotto sorveglianza, le spie Romane avrebbero descritto alle autorità, la pompa semi-barbarica con cui era venuto alle corse. I Romani avrebbero riso, la città si sarebbe divertita, e i sospetti si sarebbero acquetati. Il giorno dopo, tutta questa moltitudine di uomini e di animali si troverebbe sulla via del deserto, non lasciando indietro che il solo necessario per il buon esito della gara. Ilderim, con altre parole, stava per partire; le sue tende erano piegate, il dovar era sciolto; in dodici ore ogni cosa poteva mettersi in salvo. Così il vecchio Arabo preparavasi ad un eventuale colpo da parte di Messala.
Nè Ben Hur da parte sua deprezzava l’influenza del suo nemico, quantunque fosse d’opinione che nessun atto d’o-