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— «Il signore Iddio di Abramo protegga la nostra impresa!» — esclamò Simonide.

— «Ed ora un’ultima parola, amici» — disse Ben Hur con volto più lieto. — «Se permettete, voglio essere padrone di me stesso fino dopo i giuochi. Non è probabile che un pericolo mi minacci da parte di Messala prima che gli giunga la risposta del procuratore, e questo non può avvenire che in sette od otto giorni. Il nostro incontro nel Circo è un piacere che comprerei a qualunque rischio.» —

Ilderim, felicissimo, annuì subito, e Simonide, intento agli affari soggiunse. — «Va bene, padrone; quest’indugio mi darà agio di renderti un servigio. Tu parlasti di un’eredità lasciatala da Arrio. Consiste essa in beni?» —

— «Una villa a Miseno e alcune case in Roma.» —

— «Io propongo che siano vendute, e i guadagni depositati in luogo sicuro. Dammi l’autorizzazione e io manderò subito un agente. Per questa volta almeno preverremo gli imperiali predoni.» —

— «Domani avrai la nota e la procura.» —

— «Allora se non v’è altro, il lavoro, per questa notte è terminato» — disse Simonide. Ilderim si lisciò la barba con compiacenza dicendo — «E ben terminato» —

— «Ester, offri il vino e il pane» — continuò Simonide. — «Lo sceicco Ilderim ci onorerà con la sua presenza questa notte, e domani; e tu mio padrone?» —

— «Fa sellare i cavalli» — disse Ben Hur. — «Io ritornò all’Orto. Il nemico non mi scoprirà se vado ora, e» — diede uno sguardo ad Ilderim — «i quattro saranno contenti di vedermi.» —

Ai primi albori del giorno, egli e Malluch smontarono davanti alla porta della tenda.


CAPITOLO IX.


La notte successiva, intorno all’ora quarta, Ben Hur stava sul terrazzo del grande magazzeno, al fianco di Ester. Sotto di essi si agitava la medesima folla rumorosa di operai, marinai, facchini, che lavorando al lume delle torcie avevano l’aspetto di genii di qualche fantastica favola orientale. Si stava caricando una galera che doveva partire sul far del giorno. Simonide non era ancora tornato dal suo