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fu condotta nella cripta per lei scelta l’anno prima, e messa a dormire insieme alle sue regali compagne. Ma nessun funebro corteo in suo onore attraversò il sacro lago.


Alla conclusione del racconto, Ben Hur era seduto ai piedi dell’Egiziana, e la mano con cui essa guidava il timone era stretta nella sua.

— «Menofa aveva torto.» — egli disse.

— «Perchè?» —

— «L’amore vive amando.» —

— «Dunque non vi è rimedio contro di esso?» —

— «Si, Orete lo trovò.» —

— «Quale?» —

— «La morte.» —

— «Tu sei un buon ascoltatore, o figlio di Arrio.»

E così conversando e raccontando favole e novelle ingannarono le ore. Quando scesero a terra, essa disse:

— «Domani andiamo in città,» —

— «Ma ti troverai ai giuochi?» — egli chiese.

— «Oh, sì.» —

— «Ti manderò i miei colori.» —

E così si divisero.


CAPITOLO IV.


Ilderim ritornò al dovar il giorno appresso circa all’ora terza. Quando smontò, un uomo della sua tribù lo accostò e gli disse: — «O sceicco, mi fu consegnato questo plico con l’ordine di recarlo a te, affinchè tu lo legga immediatamente. Se c’è risposta, devo attendere la tua buona grazia.» —

Ilderim aprì subito il pacco, il sigillo del quale era già stato rotto.

L’indirizzo diceva: A Valerio Grato, Cesarea.

— «Abaddon lo pigli!» — mormorò lo sceicco, scorgendo che la lettera era in latino.

Se l’Epistola fosse stata in Greco o in Arabo, egli non avrebbe avuto difficoltà nel leggerla. Così potè tutto al più decifrare la firma, scritta in grandi caratteri Romani — MESSALA, — che lesse strizzando l’occhio.