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— «Son qui Messala!» — gridò un uomo dietro di lui.

— «Sono qui, che muoio fra la folla, cercando la elemosina di un dramma pel barcaiuolo d’Averno. Ma per Plutone, questi uomini nuovi non posseggono un obolo fra tutti.» —

La sortita provocò uno scoppio di risa. Solo Messala non vi si unì, ma disse con gravità:

— «Va, Cecilio, nella stanza donde venimmo, ed ordina ai domestici di portar qui le anfore e le tazze. Se questi nostri compatrioti pezzenti di Siria non hanno denari, voglio almeno vedere se posseggono una gola. Spicciati.» —

Poi si volse a Druso, con una risata che echeggiò per la stanza.

— «Ah, ah, mio amico! Non ti offendere se abbassai Cesare al livello di un denario. Lo feci per svergognare questi aquilotti della nostra vecchia Roma. Vieni, Druso, vieni!» — Raccolse il bossolo ed agitò allegramente i dadi.

— «Per che posta giuochiamo?» —

Il modo era franco, cordiale, seducente. Druso cedette immediatamente.

— «Per le Ninfe, sì; accetto!» — esclamò ridendo.

— «Io giuocherò con te, Messala, — per un denario.» —

Un giovinetto dal volto quasi infantile osservava la scena da un capo del tavolo. Improvvisamente Messala si volse a lui:

— «Chi sei?» — gli chiese.

Il giovine si ritrasse timidamente.

— «No, per Castore, no! Non intesi di offenderti. Ho bisogno d’un segretario che tenga nota delle mie scommesse. Vuoi servirmi?» —

Il giovine tirò fuori le sue tavolette e si avvicinò prontamente a Messala.

— «Fermati, Messala, fermati!» — esclamò Druso. — »Io non so se porti sfortuna arrestare i dadi con una domanda; ma mi è balenato un’idea e devo comunicartela quand’anche Venere mi frustasse con la sua cintura.» —

— «No, mio Druso; quando Venere si toglie la cintura, è Venere amorosa.» —

— «Ma la tua domanda. — Aspetta che getti, avvenga ciò che deve avvenire. Così.» —

Rovesciò il bossolo sul tavolo e lo tenne fermo sopra i dadi.