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— «E poi?» — chiese Flavio, intento al suo giuoco. Ne ho viste altre consimili. Che vuoi dire?» —
«Nulla. Io la darei volentieri in cambio di un uomo che sapesse ogni cosa.» —
— «Un bel cambio davvero. Ma giuoca....» —
— «Ecco, partita.» —
— «E' vero per Giove! Ancora? —
— «Volentieri.» —
— «E la posta?»
— «Un sesterzio.» —
Estrassero le loro tavolette e con uno stilo notarono la scommessa, e mentre rimettevano a posto i pezzi, Flavio ritornò sull'osservazione dell'amico:
— «Un uomo che sappia ogni cosa! Hercle! gli oracoli morirebbero di fame. Che cosa vorresti fare di un simile miracolo?» —
— «Fargli rispondere a una sola domanda, mio Flavio; poi buttarlo nel fiume.» —
— «E la domanda?» —
— «Vorrei che mi dicesse l'ora e il minuto in cui arriverà domani il console Massenzio.» —
— «Ottimo, ottimo! e perchè anche il minuto?» —
— «Hai tu mai provato a startene a capo scoperto sotto la sferza del sole Siriaco, sul molo, aspettando; i fuochi di Vesta sono tiepidi al paragone; e; per Giove Statore, se debbo morire, preferisco di morire a Roma. Questo è un inferno; là, stando in mezzo al Foro, con la mano tesa così, mi parrebbe di toccare la volta degli Dei. Ah, per Venere, mio Flavio, ho parlato troppo. — Ho perduto di nuovo, o cattiva Fortuna!»
— «Ancora?» —
— «Naturalmente. Devo riconquistare il mio sesterzio.» —
— «Sia.» —
I due continuarono a giuocare, finchè la luce del giorno che sorgeva cominciò a fare impallidire il chiarore delle candele.
Come la maggior parte della compagnia, essi erano degli attachès militari al servizio del console, di cui attendevano la venuta.
Durante questa conversazione un nuovo gruppo era entrato nella stanza, e dapprima inosservato, si avvicinò al tavolo di mezzo.
I suoi componenti portavano traccie di aver passato la notte a banchetto. Alcuni si reggevano a stento sulle gambe.