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un paradiso terrestre. In mezzo ad una radura sorgeva una statua di meravigliosa bellezza, raffigurante Dafne, la Dea protettrice del luogo. Ai piedi della statua, coricati sopra una pelle di tigre, addormentati, Ben Hur vide una fanciulla ed un giovane abbracciati in un amoroso amplesso. Un falcetto ed un canestro rovesciato giacevano loro appresso, e, da quest’ultimo, usciva un mucchio di rose formando una cascata di fiori sopra il prato.
Ben Hur si ritrasse con un senso di profonda vergogna. Nel boschetto degli aromi egli aveva creduto di scoprire l’incanto misterioso del luogo ove regnasse pace senza timore e quasi aveva ceduto a quel fascino dolce e sereno; ora, da quell’esotico amplesso in pieno giorno, lì, ai piedi di Dafne, ebbe una nuova rivelazione. Il principio imperante nel luogo era l’amore, ma l’amore fuori della legge.
Questa era la pace dolcissima di Dafne!
Questo lo scopo della vita dei suoi ministri!
A questo segno un clero astuto aveva asservito la natura, gli uccelli dell’aria, i fiumi, i fiori, il lavoro dell’uomo, la santità degli altari, il fecondo bacio del sole!
I seguaci della Ninfa, i devoti di quel gran tempio a cielo scoperto, anche quelli che col lavoro delle loro braccia lo mantenevano in quello stato di magnificenza e di perfezione, destarono un senso di disgusto e di sdegno nel petto di Ben Hur, ora che il movente delle loro azioni non gli era più un mistero. Certo v’eran stati alcuni che, gemendo sotto un fardello di triboli troppo gravi a sopportarsi si erano lasciati attirare dalle promesse di pace che offriva loro il soggiorno in un luogo consacrato, alla cui bellezza, in mancanza d’altri doni, essi pagavano un tributo col loro lavoro; ma, certamente, non era di questi che si componeva la grande maggioranza dei fedeli. Ampie e dorate erano le reti che Apollo tendeva in ogni parte ai suoi seguaci, e sotto le maghe; ma nessuna eguagliava lo splendore del Bosco di Dafne. A questo traevano tutti i libanti del mondo, i sensualisti d’oriente e d’occidente. I loro voti non si ispiravano a nessuna nobile esaltazione, a nessun zelo pel Dio del canto o per l’infelice sua amante, a nessun principio filosofico che prescrivesse la calma dell’eremo e il raccoglimento della natura, il conforto della religione e i riti di un amore elevato e sereno. In quell’età due soli popoli sarebbero stati capaci di assurgere a tale altezza di concezione: quello retto dalle leggi di Mosè, e quello cui Brama reggeva. Essi soli avrebbero potuto esclamare: — «Meglio la legge senza amore che l’amore senza la legge.» —