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Sul molo stavano ammonticchiate merci imballate in varia guisa, e gruppi di schiavi, nudi sino alla cintola, si aggiravano intorno ad esse, intenti al lavoro.
A valle del ponte trovavasi una flottiglia di galere, alcune in atto di caricare, altre di scaricare merci. Da ogni albero sventolava una bandiera gialla. Dalla flottiglia al molo, da nave a nave, gli schiavi passavano e ripassavano chiassosamente. Sull’opposta sponda del fiume, dall’altro capo del ponte, sorgeva dall’acqua una muraglia, al disopra della quale dominavano i fantastici cornicioni e le torricelle del palazzo imperiale occupante l’intiera area dell’isola di cui aveva fatto cenno l’Ebreo nella sua descrizione. Ma per quanto suggestivo fosse lo spettacolo Ben Hur, appena se ne accorse. Egli era tutto assorto nel pensiero che fosse finalmente giunta l’ora d’avere contezza dei suoi, se, come era certo, Simonide era stato in realtà lo schiavo di suo padre. Ma riconoscerebbe egli questi rapporti passati? Ciò equivarrebbe all’abbandono delle sue ricchezze e di quella sovranità commerciale di cui facevan regal mostra il molo ed il fiume, e ciò che era più doloroso ancora, rovinerebbe la sua fortuna, mentre si trovava all’apice di una bellissima carriera. Sarebbe inoltre stato un dichiararsi volontariamente schiavo. L’idea sola d’una tal domanda appariva mostruosa: infatti, ridotta ai minimi termini, essa suonava così: — «Tu sei mio schiavo, dammi tutto quello che hai, te stesso compreso.» — Ciò nonostante Ben Hur attingeva forza per l’imminente colloquio dalla coscienza dei proprii diritti e dalla speranza che gli batteva in cuore. Se la storia narratagli era vera, Simonide e tutti i suoi beni gli appartenevano. Ma le ricchezze, ad onor del vero, non gl’importavano affatto. Allorchè si avanzò risoluto verso la porta egli aveva già in cuor suo giurato, che, purchè ottenesse notizie di sua madre e di Tirzah, avrebbe lasciato libero Simonide, nè altro gli avrebbe chiesto.
Senza esitare più oltre, penetrò nella casa.
L’interno era semplicemente quello d’un vasto deposito, diviso in riparti ove in buon ordine merci d’ogni genere si trovavano immagazzinate. Quantunque la luce fosse fioca e l’aria soffocante, vi si lavorava alacremente, e qua e là scorgevansi operai con seghe e martelli occupati a preparare casse d’imballaggio. Egli seguì lentamente una specie di sentiero attraverso i cumuli di merci, chiedendo a sè stesso se veramente l’uomo, del cui genio vedeva intorno a sè tante prove, era mai stato lo schiavo di suo padre: se sì,