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la prima, ma non c’è ricompensa per te nel secondo. Tu non sei romano. Va!» —
Poco tempo dopo Ben Hur si trovava nuovamente sul suo banco.
La fatica è lieve se il cuore è leggiero. Il remo sembrò meno pesante a Giuda. La speranza gli ferveva nel cuore. Le ultime parole del tribuno — «Forse non ho fatto che scherzare con te» — erano dimenticate. Il fatto rimaneva che egli era stato chiamato dal grand’uomo e richiesto della sua storia. Questo era il pane di cui Giuda cibava il suo spirito affamato. Qualche cosa di giocondo ne doveva nascere, e le sue labbra mormorarono la preghiera:
— «O Dio! Io sono un figlio di quell’Israele che tu hai tanto amato. Aiutami, ti prego!» —
CAPITOLO IV.
Nella baia di Antimona, ad Oriente dell’isola di Citera, erano raccolte le cento galere. Dopo aver occupato il primo giorno passandole in rivista, il tribuno fece vela per Nasso, la maggiore delle Cicladi, a mezza strada fra le coste della Grecia e quelle dell’Asia. Da questo punto avrebbe potuto inseguire i pirati sia che rimanessero nell’Egeo o si volgessero al Mediterraneo.
Mentre la flotta, in ordine di battaglia, muoveva verso all’isola, fu vista una galera solitaria avvicinarsi da settentrione. Arrio le andò incontro e dal capitano apprese quei particolari di cui aveva sommamente bisogno.
I pirati appartenevano alle ultime rive dell’Eusino, e della palude Meotide. Avevano fatto i loro preparativi con la massima segretezza, cosicchè la prima notizia che si ebbe di loro fu quando passarono il Bosforo e distrussero la flotta che vi stazionava. Di là all’Ellesponto tutto quanto galleggiava sul mare divenne loro preda. La flotta era composta di circa sessanta galere, quasi tutte triremi, ottimamente armate ed equipaggiate. L’ammiraglio era Greco e Greci erano i piloti, che si dicevano famigliari con tutti i mari d’oriente. Il bottino era incalcolabile. Grande la paura che destavano non solo sul mare ma nei porti. Le città sbarravano le loro porte e di notte armavano di sentinelle le mura. Il commercio era quasi impedito.