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— «Sono ancora più stupidi degli Egizi» — osservò egli, crollando il capo.
— «Credi? Sta bene, allora,» — replicò essa, avvicinando la mano all’orecchia sinistra. — «non ce ne occuperemo. Io ho qui qualche cosa di meglio e di più sicuro, l’amuleto, che, molti anni fa, quanti non ricordo, un mago persiano diede alla nostra gente. Guarda, l’iscrizione è quasi cancellata.» —
Gli porse l’orecchino, che egli prese, e le restituì ridendo.
— «Fossi anche moribondo, o mia Tirzah, non potrei adoperare l’amuleto. E’ una reliquia pagana, vietata ad ogni figlia o figlio d’Abramo. Prendilo, ma non portarlo più.» —
— «Vietato? Baie! Ho veduto la madre di nostro padre portarlo tutte le domeniche di sua vita. Ha guarite non so quante persone, ma certo più di tre. E’ stato approvato, vedine il segno, dai Rabbini.» —
— «Io non ho fede negli amuleti.» —
Essa alzò gli occhi meravigliati sul viso del fratello.
— «Che cosa direbbe Amrah?» —
— «Il padre e la madre di Amrah credevano nei rimedi e nei sortilegi.» —
— «E Gamaliele?» —
— «Egli le chiama maledette invenzioni di miscredenti.» —
Tirzah guardò l’anello dubbiosamente.
— «Che cosa devo farne?» —
— «Portalo, sorellina. Accresce la tua bellezza, quantunque credo che tu non ne abbia bisogno.» —
Soddisfatta, ritornò l’amuleto all’orecchio proprio nel momento in cui Amrah entrò nella stanza recando il vassoio col catino, coll’acqua e coll’asciugamano.
Non essendo Giuda un Fariseo, le abluzioni furono semplici e brevi. La schiava uscì e Tirzah si accinse ad acconciargli i capelli, tirando fuori di tanto in tanto un piccolo specchio metallico che portava alla cintura, alla foggia delle donne ebraiche, e porgendoglielo affinchè egli si accertasse della maestrìa con cui procedeva nell’artistico lavoro. Frattanto la conversazione non languiva.
— «Che cosa ne dici, Tirzah? Io parto.» —
Essa lasciò cadere le mani per lo stupore.
— «Parti? Quando? Dove? Perchè?» —
Egli rise.
— «Quante domande in una volta sola! come sei curiosa!» — Poi facendosi più serio: — «Tu conosci la