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— «Tu sei stanco,» — disse.
— «No» — egli rispose. — «Stavo ascoltando una nuova canzone di Israele.» —
La madre, desiderosa di raggiungere il suo intento, lasciò cadere, come se le tornasse inosservato, il complimento.
— «Come meglio ho potuto, o Giuda, ho fatto passare innanzi ai tuoi occhi i grandi uomini della nostra nazione, — patriarchi, legislatori, guerrieri, poeti, reggenti. Ora veniamo a Roma. A Mosè contrapponi Cesare; a Davide, Tarquinio; Silla ai Maccabei; ai migliori fra i consoli i giudici; ad Augusto, Salomone, e avrai finito; il paragone cessa a questo punto. Ma pensa ai profeti — grandi fra i grandi!» —
Rise sdegnosamente.
— «Scusami. Mi venne in mente quell’indovino, che ammonì Caio Giulio contro gli Idi di Marzo, ed ebbe il presagio cercando nelle viscere dei polli gli auspici che il suo padrone sprezzava. Pensa invece ad Elia seduto sulla vetta della collina che fronteggia la strada di Samaria, in mezzo ai corpi fumanti di capitani e soldati, nell’atto d’ammonire il figlio di Ahab, predicendogli l’ira di Dio. Finalmente, o mio Giuda, se un tale paragone è lecito — come giudicheremo Jeova e Giove se non dagli atti dei loro fedeli? Quanto al tuo avvenire, mio figlio...» —
La sua voce ebbe un tremito e le parole uscivano, a stento, dalle sue labbra:
— Quanto al tuo avvenire, mio figlio, servi Iddio, il Signore Iddio d’Israele, non Roma. Per un figlio di Abramo non vi ha gloria se non sul cammino di Dio....» —
— «Potrò dunque andare soldato?» — chiese Giuda.
— «Perchè no? Mosè non chiamò il Signore: «Dio delle armi?» —
Seguì un lungo silenzio.
— «Hai il mio permesso, — «essa disse finalmente» — purchè tu serva il Signore, e non Cesare.» —
Egli fu soddisfatto della condizione impostagli, e, dopo un poco, si addormentò. Allora essa si alzò, gli mise un cuscino sotto la testa, e, copertolo con uno scialle, lo baciò teneramente, ed uscì.