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CAPITOLO IV.
La madre riprese la sua comoda posizione, sopra il cuscino, mentre il figlio prese posto sul divano, appoggiandole il capo sul grembo. Entrambi, guardando fuori attraverso la finestra, potevano vedere un mare di tetti più bassi: più lontano, verso occidente, le cime nereggianti dei monti, e il cielo, brulicante di stelle. La città era tranquilla. Non si udiva che il fruscìo del vento.
— «Amrah mi dice che t’è successo qualche cosa di grave» — essa cominciò, accarezzando le sue guancie.
— «Quando il mio Giuda era bambino, io lasciava che piccole cose lo infastidissero, ma ora egli è un uomo. Egli non deve dimenticare» — la sua voce si fece molto dolce — «che un giorno egli dovrà essere il mio eroe.» —
Essa parlava un idioma quasi caduto in disuso nel paese, ma che alcuni pochi, ricchi di cuore come di beni, conservavano nella sua purezza per distinguersi ancora meglio dai Pagani, — l’idioma in cui Rebecca e Rachele cantarono a Beniamino.
Queste parole sembrarono render il giovane pensieroso, ma, dopo qualche istante, egli prese la mano con cui essa gli faceva vento, e disse — «Oggi, o madre, ho dovuto riflettere su molte cose che prima non avevano rattristata la mia mente. Dimmi, anzitutto, che cosa dovrò diventare un giorno?» —
— «Non te l’ho già detto? Devi diventare il mio eroe.» —
Egli non poteva scorgere il volto di lei, ma sapeva che essa scherzava. Divenne ancora più serio.
— «Tu sei molto buona, molto cara, o madre. Nessuno ti amerà più di me.» —
Le baciò e ribaciò più volte la mano.
— «Io credo di intendere perchè cerchi di evitare la mia domanda.» — continuò. — «Fin’ora la mia vita ti ha appartenuto. — Come dolce, come soave è stato il tuo impero su di me! Io vorrei che durasse in eterno. Ma ciò non deve essere. E’ volontà del Signore che un giorno io divenga padrone di me stesso; sarà un giorno di separazione, e quindi un giorno crudele per te. Siamo seri e