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Nina ripetè:

— Potete continuare, maestro.

Il maestro bassò la testa, e le sue dita corsero su la tastiera, come in cerca d’un motivo dimenticato. Eran note slegate, accozzate insieme per forza, come se s’urtassero a vicenda; accordi sgradevoli e tristi, come il romorio che fa il vento ghiacciato a traverso i rami secchi in inverno. Un suono molto stentato, molto fastidioso insomma, che avrebbe finito per urtare potentemente i nervi, come suol dirsi comunemente.

E i nervi di Nina, quella simpatica nervosa, così suscettibile, ne risentirono immediatamente lo strazio. Ella gridò con la solita strappatina di voce:

— Andiamo, maestro!

Quell’«andiamo, maestro!» era come un voler dire: «La volete finire? ora basta; noi aspettiamo i vostri comodi.» A quegli accordi successero per buona sorte quelli d’una polca mazurca, — e cominciò di nuovo la danza.

Ma non era più quel fuoco, quel turbinio di scintille di poco prima; sembrava che una certa stanchezza, un certo spossamento si fosse impadronito delle braccia del povero maestro: così sembrava, ed in effetto tutti i ballerini, siccome prima avevano