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Ma che cosa aveva egli? Che c’è di strano venire a martellare per tre o quattro ore su d’un pianoforte, per far ballare della gente che non s’è mai vista e che bada tanto a te quanto all’istrumento mosso dalle tue dita? È una graziosa pretensione davvero, quella di credere che la gente possa pensare a te, o maestrino dei ballabili; tu adesso non rappresenti che un valzer, una polca, un galoppo; anzi il valzer, la polca, il galoppo, come tanti Saturni, ti divorano, ti annientano, e vogliono essere soli a regnare, soli ad avvolgere nelle loro onde armoniose quei fortunati mortali... tu sei sparito, non esisti più!

E dire, che tutte queste belle idee, che ora son venute a me, anch’egli, il nostro Errico, le aveva avute... ed ora, che volete, ora sono tutte svanite in un colpo; ora darebbe la metà della sua vita per trovarsi fuori di quel luogo.

E pareva ancora esitante, se dovesse o no avanzarsi; ma finalmente, come se raccogliesse tutte le sue forze, fece alcuni passi, e si diresse al padrone di casa. Gli s’inchinò leggermente dinanzi, e quasi per istinto stese a lui la mano.

Il cav. Mario ritirò la sua immediatamente, limitandosi a fare con essa un cenno di saluto.