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alquanto confuso, quasi quasi avesse vergogna.

Aveva traversato tutte le altre stanze con passo franco, con aria disinvolta ed elegante, come chi viene in una casa, dove sa d’essere atteso con piacere ed accolto onorevolmente; ma sul punto di entrare nella sala, a vedere quel lungo mobile nero starsene lì mogio mogio, con la tastiera scoperta, come se aspettasse lui, proprio lui; ad udire il padrone di casa profferire quelle parole: «Ecco il maestro finalmente!» a vedere tutte quelle testoline delle fanciulle voltarsi con curiosità a lui... egli aveva sentito stringersi il cuore come da una mano di ferro.

E s’era fermato lì, su la soglia della porta, e pareva esitante, se dovesse o no entrare.

Un buono osservatore si sarebbe forse accorto, come a lui tremasse in quel momento la mano, che teneva il cappello; avrebbe visto una vampa salirgli sul volto pallidissimo; gli occhi di lui vagare incerti all’intorno, come s’egli desiderasse atteggiarli ad indifferenza, e non potesse trovare quell’espressione... le labbra nell’atto d’aprirsi, per profferire qualche parola di scusa, ma nello stesso tempo restie a muoversi e sensibilmente tremolanti... oh, egli certo doveva soffrire in quel momento!