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capelli e barba d’un biondo che andava al giallo, gli occhi grandi e insignificanti, d’un giallo un po’ più oscuro de’capelli, il naso d’una regolarità desolante, modi molto signorili, ma che non ispiravano alcuna confidenza. Egli era d’un paese della Liguria. Le mamme si buccinavano fra loro, ch’egli fosse venuto in Napoli con l’intenzione di ammogliarsi. — E quella sera, vedendolo dal Cav. Mario, gli avevano subito destinato una moglie. Il cavaliere aveva un sorriso maligno di trionfo.

Alla signorina Nina era dato l’incarico della danza. Ella in effetto disponeva ogni cosa; presentava i cavalieri alle signorine; faceva far le nuove conoscenze; se c’era qualche signorina un po’ meschinuccia, un po’ nojosetta, non tanto cercata insomma, ella, la furbetta, aveva sempre il cavaliere di riserva, e non c’era pericolo che la facesse rimanere neghittosa in un cantuccio, con la mortificazione del non vedersi scelta. — Ella aveva proprio il bernoccolo della danza, se non che, non le guastava per nulla la bella testina.

E poteva chiamarsi, se fosse possibile, la danza personificata, deificata per meglio dire. Alta, snella, trasparente, con un vitino fatto apposta per abbracciarsi, un piėdino tornito ad arte per scivolare, anzi per ricamare; due occhioni neri, mobili, inebbrianti,