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Di questo avviso era il cavaliere Mario; egli uomo eminentemente pratico, come assicurava egli stesso, consigliere provinciale, ingolfato sino al naso nella faccenda delle acque, egli soleva dire: «In casa mia, la sera, ci voglio un po’ d’allegria. Voglio ritornare ai tempi della mia gioventù; voglio mischiarmi coi giovani: la mattina sono quel che sono, la sera non ne vo’ saper nulla; perchè la troppa serietà distrugge il fegato.»

Quella sera, quella piccola società improvvisata aveva forse uno scopo: non per nulla il cavaliere Mario era un uomo politico. — Egli voleva presentare ai suoi amici una sua nuova conoscenza, il Duca di S. Dionigi; un uomo, il quale nelle lettere aveva fatto parlare molto di sè, sino a pochi anni addietro. Ora il Duca s’era ritirato dalla vita letteraria; e, dopo aver dato uno indirizzo alla critica moderna, come diceva egli, dopo aver tentato di creare una scuola, voleva lasciare che gli altri camminassero su i suoi passi, ed egli riposarsi su i propri allori. Parlavą poco, e raramente di arte e letteratura: tante volte uno aspettava tremando una sua parola, che avesse ad annientare tutto un sistema, e poi egli diceva qualche cosa molto comune, che non annientava nulla di nulla. Era alto della persona, aveva