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cosa, o l’essere offesa cento volte dai pirati negri, il passare per le bacchette fra’ Bulgari, l’esser frustato e impiccato in un auto-da-fè, l’essere notomizzato remare in galera, provare infine tutto le miserie che noi abbiamo passate, oppure il restar qui a non far niente. — Questa è una gran questione, disse Candido.

Un tal discorso fece nascere nuove riflessioni e Martino soprattutto concluse che l’uomo era nato per vivere fra le agitazioni dell’inquietudine e nel letargo della noja. Candido non ne conveniva, ma non assicurava nulla.

Pangloss confessava d’aver sempre orribilmente sofferto ma siccome aveva sostenuto una volta che tutto andava a maraviglia, seguitava a sostenerlo, e non credeva a niente.

Vi era nel vicinato un dervis famosissimo che passava per uno de’ migliori filosofi della Turchia; essi andarono a consultarlo; Pangloss si fece avanti e disse: — Maestro, noi veniamo a pregarvi di dirci perchè un animale sì stravagante come l’uomo è stato formato.

– Di che ti occupi tu? disse il dervis, tocca egli a te? — Ma reverendo padre, disse Candido, vi sono de’ mali orribili sulla terra. — Che t’importa, soggiunse il dervis, che vi sia del male o del bene? Quando sua altezza spedisce un vascello in Egitto, s’imbarazza ella se i topi vi sieno a lor agio o no? — Che bisogna dunque fare? disse Pangloss. — Tacere, rispose il dervis. — Io mi lusingava, disse Pangloss di ragionare un poco con voi degli effetti e delle cause dei migliore de’ mondi possibili, dell’origine del male, della natura dell’anima e dell’armonia prestabilita.

Il dervis a tali parole gli serrò l’uscio in faccia.

– Nel tempo di questa conversazione si sparse la nuova che erano stati strangolati a Costantinopoli due visiri del soglio ed il muftì, e che erano stati impalati diversi loro amici. Questa catastrofe fece per tutto un grande strepito di poche ore. Pangloss, Candido e Martino, ritornando alla villetta s’incontrarono in un buon vecchio, che prendeva il fresco sulla sua porta sotto un pergolato d’aranci; Pangloss che era altrettanto curioso quanto ragionatore, gli dimandò come si chiamava il muftì che era stato strangolato. — Io non so niente, rispose il buon uomo, e non ho mai saputo il nome di alcun muftì, nè di alcun visir, anzi ignoro il caso di cui mi parlate; son di parere bensì che generalmente coloro che si mescolano negli affari pubblici, qualche volta miseramente periscono, e non senza lor colpa; ma non m’informo mai ai ciò che si fa a Costantinopoli. Mi contento di mandare a vendervi le frutta del giardino che io coltivo.

Dopo tali parole egli fece entrare i forestieri nella sua casa. Due sue figlie, e due suoi figli presentaron loro diverse qualità di sorbetti, che essi facevano, di kaimak ma-