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parte prima. 67

l’esecutore dell’alte opere della santa Inquisizione, il quale era suddiacono, bruciava invero la gente a maraviglia, ma non era accostumato ad impiccare: la corda era bagnata, e scorse male: il nodo era altresì mal fatto; insomma io respirava ancora. L’incisione crociale mi fece alzare un sì gran strido, che il mio chirurgo cadde indietro, e credendo di notomizzare il diavolo, mezzo morto di paura fuggì ruzzolando per la scala. A quello strepito corse la moglie da un gabinetto vicino e vedendomi disteso sulla tavola coll’incision crociale, ebbe maggior paura di suo marito, fuggì e cadde sopra di lui. Quando furono un poco rinvenuti, io sentii che la chirurga diceva al chirurgo: — Mio caro, perchè proporti di notomizzare un eretico? non sai che il diavolo e sempre nei corpi di simil gente? Io vado ora a cercare un prete per esorcizzarlo. Raccapricciai a tal proposizione, e raccolsi le poche forze che mi restavano per gridare: — Abbiate pietà di me. Allora il barbiere portoghese riprese l’ardire, e ricucì la mia pelle; la sua moglie medesima prese cura di me, ed io fui libero in termine di quindici giorni. Il barbiere mi trovò da servire, e mi fece lacchè d’un cavalier di Malta che andava a Venezia, ma non avendo il mio padrone di che pagarmi, io mi misi al servizio di un mercante veneziano, e lo seguii a Costantinopoli. Un giorno mi venne la fantasia di entrare in una moschea; non v’era che un vecchio imano, e una giovine bacchettona molto bella che diceva i suoi paternostri; sul seno aveva un bel mazzetto di tulipani, di rose, d’anemoni, di ranuncoli, di giacinti e d’orecchie d’orso. Ella lasciò cadere il suo mazzetto, ed io con una fretta rispettosissima glielo raccolsi, ma l’imano entrò in collera, e vedendo che io era cristiano gridò al sacrilegio. Fui menato dal cadì, egli mi fece dare cento staffilate sotto le piante de’ piedi, e mi condannò alla galera. Fui incatenato appunto nella galera e al banco medesimo del signor barone. V’erano in quella galera quattro giovani marsigliesi, cinque preti napolitani, e due frati di Corfù, i quali ci dissero che simili avventure accadevano tutti i giorni. Il signor barone pretendeva d’aver sofferto una ingiustizia maggiore della mia; noi disputavamo senza fine, e ricevevamo venti nerbate il giorno, quando il concatenamento degli eventi di quest’universo vi ha a noi condotto. — Ebbene, mio caro Pangloss, gli dice Candido, quando voi siete stato impiccato, notomizzato, arruotato, ed avete remato nella galera, avete sempre pensato che tutto andava ottimamente? — Io son sempre del mio primo sentimento, risponde Pangloss, perchè finalmente essendo