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parte prima. 57


Candido manda immediatamente a chiedere al signor Pococurante la permissione di visitarlo il giorno appresso. Candido e Martino andarono in gondola sulla Brenta, ed arrivarono al palazzo del nobil Pococurante. I giardini erano di buon gusto, ed ornati e di belle statue di marmo, e il palazzo di bellissima architettura. Il proprietario del luogo, uomo di sessant’anni, molto ricco, ricevè con molta compitezza i due visitatori, ma con altrettanta freddezza, il che sconcertò Candido, e non dispiacque punto a Martino.

Tosto due belle ragazze, portarono la cioccolata, che avean fatta bene spumare. Candido non potè fare a meno di lodare la loro bellezza, la loro grazia, la loro attività. — Queste sono buonissime creature, disse il senatore Pococurante; non mi dispiacciono perchè sono stufo delle dame della città, per le loro civetterie, per le loro contese, per i loro capricci, per il loro orgoglio, per le loro bassezze, per lo loro pazzie, e per i sonetti che bisogna fare, o far fare per loro. Ma anche queste due ragazze cominciano ad annojarmi.

Candido dopo la colazione passeggiando in una lunga galleria, fu colpito dalla bellezza de’ quadri; dimandò di quale artista erano i due primi. — Son di Raffaello, disse — il senatore; li comprai a caro prezzo per vanità, anni or sono: si dice che non vi è cosa più bella in Italia, ma a me non piacciono niente affatto; il colore è cupissimo, le figure non son bene arrotondate, e non risaltano abbastanza; il panneggiamento non somiglia punto a un panno insomma, checchè se ne dica, io non vi trovo una vera imitazione della natura: a me non piacerà un quadro se non allora che vi vedrò la natura medesima: di questa: specie non ve ne sono: io ho molti quadri, ma non li guardo mai.

Pococurante, aspettando il desinare, si fece eseguire un concerto; a Candido parve la musica graziosissima — Questo suono, dice Pococurante, può divertire per una mezz’ora, ma se dura di più annoja tutti, sebbene nessuno ardisca di confessarlo: la musica oggigiorno non è altro che un’arte di eseguir cose difficili, e ciò che è solamente difficile, a lungo andare piace. Io avrei forse maggior piacere all’opera se non si fosse trovato il secreto di farne un mostro, che mi fa stomacare: vada chi vuole a veder delle cattive tragedie in musica, ove le scene non son fatte che per introdurre male a proposito due o tre ariette ridicole che fanno valere il gorgozzulo d’un’attrice; si intenerisca di piacere chi vuole, o chi può, vedendo un castrato trillare sulla parte di Cesare, e di Catone, e passeggiare goffamente sul palco; per me, io ho rinunziato da gran tempo a tali leggerezze, che fanno la