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— Vedete, diceva Voltaire a’ viaggiatori che si recavano a visitarlo, questa iscrizione sulla chiesuola che ho fatto costrurre? Deo erexit Voltaire. E a Dio padre comune di tutti gli uomini: e forse è la sola chiesa dedicata a Dio solo.
Quando il filosofo, in età di 84 anni, lasciò il diletto soggiorno di Ferney, per rivedere Parigi, Beniamino Franklin si recò a visitarlo e gli presentò un suo nipote perchè lo benedicesse. «Dio e la libertà, disse Voltaire, ecco la benedizione che si addice al nipote di Franklin.»
Voltaire è accusato di trattare la storia con un sistema prestabilito, cercando a tutti i grandi fatti le cause più piccole, a tutti gli avvenimenti un’origine nel caso. Nei romanzi satirici (de’ quali il Candido è il più importante) scoppia libero ed argutissimo il riso della satira. Ma, a differenza di Rousseau, dopo aver atterrato i pregiudizi, non edifica nulla nel posto lasciato dalla distruzione. Come demolitore però non ha chi l’uguagli; bastano a dimostrarlo la vigorosa carica a fondo nel Saggio sui costumi e sullo spirito delle nazioni, nel quale scompigliò tutte le tradizioni con indipendenza di giudizio senza pari. Ed egli diceva di sè stesso: «Io ho fatto di più che Lutero e Calvino insieme.»
Prima di morire ebbe la maggiore delle soddisfazioni: l’apoteosi che gli rese tutta Parigi, inebbriata dal suo genio, e alla quale si unì il fiore dei letterati e dei filosofi d’ogni paese. A lui corone d’alloro, quando non erano ancora avvilite ai piedi di mime: a lui statue quando l’onore era più raro, a lui inni d’entusiasmo da quel popolo che undici anni dopo danzava sulle rovine della Bastiglia atterrata.
Una pagina simpatica della sua vita fu la difesa delle vittime del sistema giudiziario e della prepotenza e nel rivendicare l’innocenza oppressa consacrò gli ultimi anni: anzi udendo che si rendeva giustizia a un martire, per il che egli aveva tanto combattuto, scriveva pochi giorni prima di morire (anno 1778). A questa grande notizia il morente risuscita un istante!»