Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
parte seconda. | 97 |
che aveva scorto un volto che si assomigliava a quello di Cunegonda e l’aveva ritrovato ancora alla corte di Volhall; questa tal persona era malissimo vestita e non vi era apparenza che una favorita d’un gran maomettano si trovasse nel cortile d’un palazzo a Copenaghen. Intanto quell’oggetto disaggradevole osservava Candido con moltissima attenzione: quell’oggetto s’avvicinò tutt’a un tratto, e acciuffando Candido per i capelli gli diede il più sonoro schiaffo ch’egli avesse mai ricevuto. — Io non m’inganno, grida il nostro filosofo: oh cielo! chi l’avrebbe mai creduto? che cosa venite a far qui dopo d’esservi lasciata sedurre da un settatrio di Maometto? Andate, perfida sposa, io non vi conosco. — Tu conoscerai i miei furori, replicò Cunegonda: io so la vita che tu meni, il tuo amore per la nipote del tuo padrone, e il tuo disprezzo per me. Ahimè! son tre mesi che ho lasciato il serraglio, perchè non ero più buona a niente; comprommi un mercante per ricucir la sua biancheria, e mi condusse con lui in un viaggio che fece per queste coste. Martino e Cacambo ch’egli avea pur comprati erano nello stesso viaggio: il dottor Pangloss, per il caso più strano del mondo, trovossi nello stesso vascello in qualità di passeggiere. Naufragammo qualche miglio lontano di qui; io scampai dal periglio col fedele Cacambo: qui ti rivedo e ti rivedo infedele. Tremane, e temi quanto si può temere una donna irritata!
Era Candido tutto stupefatto da quella affettuosa scena e lasciava andar Cunegonda, senza pensare a quanto dobbiamo riguardarci da chi conosce il nostro segreto, quando gli si fece innanzi Cacambo. Si abbracciarono teneramente; Candido ascoltò quanto egli veniva a dirgli, e molto si afflisse della perdita del gran Pangloss, che dopo d’essere stato impiccato e abbruciato, s’era annegato miseramente. Essi parlavano con quella tenerezza di cuore che ispira l’amicizia, quando un bigliettino che Zenoide gettò dalla finestra mise fine alla conversazione. Candido l’aprì e vi trovò queste parole:
«Fuggi, mio caro bene; tutto è scoperto. Una inclinazione innocente che la natura autorizza, e che non ferisce in niente la società, è un delitto agli occhi degli uomini creduli e crudeli. Volhall esce dalla mia camera ove mi ha trattata con l’estrema inumanità. Egli va ad ottenere un ordine, per farti perire in un carcere. Fuggi, o troppo caro amante! poni in sicurezza quei giorni che non puoi più passare presso me. Ecco il fine di quei tempi felici, in cui la nostra reciproca tenerezza... Ah misera Zenoide, che hai tu fatto al cielo, per meritare un trattamento sì rigoroso? Io mi perdo: ricordati sempre della tua cara Zenoide. Caro bene, tu vivrai eter-