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mune da errori e da omissioni. Quello che è dato sperare e augurarsi al lessicografo più diligente si è, che nel suo lavoro ve ne siano il meno possibile: e questo spero e mi auguro anch’io.
Ho poi mantenuto al mio libro il primo suo titolo, cioè Vocabolario italiano della Lingua Parlata, sebbene Emilio Broglio di felice memoria lo mettesse in canzonatura nella Lettera a R. Bonghi, premessa al terzo volume del Novo, dicendo scherzosamente che non potrebbe essere lingua cantata o sonata. Alla quale canzonatura sarebbe in grado di rispondere anche uno scolaretto di Ginnasio, il quale sa che tutta la lingua parlata è o può essere scritta, e che, per contrario, non tutta la lingua scritta è o può esser parlata. Tale differenza intorno, non al sostanziale della lingua ma al suo uso, stabilì fin di principio i confini di questo Vocabolario, circa ai quali credevo di essermi dichiarato più che abbastanza nella Prefazione, che da quell’egregio uomo non dovette esser letta con animo riposato. A due altri appunti dello stesso Broglio debbo qui rispondere, cioè all’essermi io governato, secondo lui, col mio giudizio intorno all’accettabilità di molte voci nuove, chiudendo gli occhi, come sempre li ho chiusi e chiuderò, all’uso dei cattivi parlanti e dei leziosi che da per tutto si trovano, e tenendoli bene aperti all’uso dell’universale e segnatamente del popolo. Eppure chi potrebbe negare che in materia di lingua non avvenga quello stesso che nei cibi, che per alcuno un cibo è buono e saporito, per un altro è cattivo e spiacente? Certo il gusto e il giudizio proprio hanno gran parte sull’accettabilità o non accettabilità di una voce o maniera; ed io confesso, nè avrei potuto fare altrimenti, di aver seguito il giudizio mio, aiutato da una educazione che credo sinceramente toscana, e da quegli studj che nel corso della mia vita ho sempre coltivati. La censura del Broglio, che su questo punto da me grandemente discordava, potrebbe esser ritorta contro al suo Vocabolario, il quale è fatto (e ci vorrebbe poco a provarlo) senza il giudizio di nessuno, che è quanto dire senza alcun giudizio. E toccando io in quella chiacchierata sul Si dice o non si dice, fatta da me, anni sono, al Circolo filologico di Firenze, della lingua del popolo, che mi ostino a chiamar sempre vera lingua, perché in ogni voce che egli usa vuol qualche cosa sentire, immaginare, pensare, e aiutandomi degli stessi suoi spropositi, come Ubbidiente per Bidente, Eccesso per Ascesso, Matrimonio del gran destino per Matrimonio clandestino, ec., il Broglio mi dette accusa di adulatore del popolo, e affermò con un francesismo che la lingua del Novo Vocabolario è la lingua della bona società; come se io quegli spro-