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I verbi impers. relativi a tempo e stagioni, perchè intrasn., prendono per lo più nel tosc., l’ausiliare “Essere„. Nel nostro uso, sempre “Avere„ Ha piovute, *piòvete, tutte la matine, È piovuto tutta la mattina. N’n á piòvete da ’nu mése, Non è piovuto... Ha nengute, Ha fatte le terrìcene, Ha nevicato, tonato. “Ricordare„ e “Scordare„, com., prendono la forma impers. Ved. nel Vocab.

148. A. a) Tutti gl’Infiniti della 1a 2a e 4a coniug. sono tronchi: Parlá’, Tené’, Sendì’. Quelli di 3a soffrono anche l’apocope, ma la sillaba terminale è spesso ripristinata.

b) Seguiti da un partic. pronom. gl’infiniti, nell’uso più volgare, non sono apocopati; Farese, Fàrele, Fàrete, ecc.; Mannárece; Tenérese; Métterese; Sendìrese — (Nel Futuro e nel Condizionale, sono anche conservati, con cambiamento in a della vocale della desinenza e con raddoppiamento dell’r).

c) Alcuni infiniti conservano la terminazione latina, apocopata o sincopata nel toscano: Areduce’, Ridurre; Cunduce’, Produce’; Arepónne’, Riporre; Cumbónne’; Supponne’; Dìcere, Dire.

d) Per dare più vivacità alla frase, l’infinito (e non di rado, anche pers. di altri modi) suol essere raddoppiato: Vulive menì’, menì’ e n’n żîte smošte, o Vulive menì’, vulive menì’..., Volevi venire, e non ti sei mosso; Vó fa’ vó fa’ e...; Ca ce vó jì’, ce vó jì’, ma...

Nota 1a — Per evitare equivoci, noto il segno dell’apocope. Infatti: Tósce, sm. Tosse; Tósce’, Tossire: Vedé, Vedeva; Vedé’, Vedere; Lègge, sf. la legge; Lègge, egli legge; Lègge’, Leggere.
Nota 2a — Abbiamo uno speciale costrutto per indicare l’essere o non essere, fare e non fare, quasi il Divenire: Šta són’ e nen żóne, è lì lì per sonare, battere (l’ora); Šta pióv’e nnèm bióve, è lì lì per piovere; Šta jèsc’ e nnen èsce, è per andarsene, per spirare — Similm. A alb’ e nnen albe, Ai primi albori. Fra il lusco e il brusco.
Nota 3a — E, per esprimere frequenza, ripetizione di atto: A cquande jónda jónde (jundá’ = saltare), spesso salta, sobbalza, saltella — Similm., ripetendo il nome: Fa šcuppe scuppe, Fa degli scoppi, Scoppietta.

B. I Gerundi di tutte le coniugazioni terminano in ènne: Parlènne, Tenènne, Leggènne, Sendènne — I participi passati della 1a terminano in ate; quelli della 2a e 3a, salvo delle eccez., escono in ute; della 4a, in ite, e più volg. in ute.

C. Nel più pretto volgare, la flessione dei tempi dell’indicativo, qualunque sia il verbo, è perifrastica, le forme personali ordinarie sono sostituite da altre, nelle quali il verbo che dovrebbe soggiacere alla flessione, adoperato come oggetto di una preposizione semplice, resta, nei due numeri, immutato nell’infinito. Es. Ji’ téng’ a ffa’, Io fo; Che ttî ffá’? Che fai?; Cullù té’ a mmagná’, Quello mangia; Nu’ teném’ a ccandá’, Noi cantiamo, ecc.; Ji’ me tené a vveštì’, Io mi vestivo; Cullù se té a ’ngrassá’, Quello ingressa. E parimente pei verbi impers.; che indicano vicissitudini dell’atmosfera: Té a nnéngue’, Nevica; Té ppiove’, Piove. b) Il Perfetto definito, anche più costantemente, passa nella forma perifrastica del perfetto indefinito; talchè dalla bocca del volgo non senti d’ordinario: Facive, feci; Avive, ebbi; Jive, Andai; ma So’ (= ho) fatte, feci; So’ ’vute, ebbi; So’ jite, andai — Dai meno volgari, il pass. remoto è adoperato in cambio del pass. pross. Štamatine m’ avezáje prèšte,... mi son levato presto. Póche prime ce parlaje, Dianzi ci ho parlato, ho parlato con lui, ecc. c) Il Futuro non si sottrae che apparentemente a questa consuetudine dello sdoppiamento. Nella forma toscana, noi non l’usiamo che nella sola 3a pers. sing. (simile alla plur.); ma di rado, e sempre con r finale geminato: Farrá (far-à), Tenarrá (tener-à, terr-à), Leggiarrá (legger-à), Sendarrá (sentir-à). [Come nei “Protoc. notar. ant.„, e negli “Stat. munic.„ passim: Uscirrà, Trascirrà, Obligarrà, Farrà, Valerrà, Macinarrà, Pesarrà, Observara, Serra, Farra, Dirremo]. Più comunem., la forma che diamo al Futuro è quella del pres. dell’indic.: Hî da sendì’ (sentir-hai) che dice!, Sentirai che cosa dirà!; Vé u ne’ vvé?, Verrà o non verrà?; Vo’ vedé’ se tte le pó dá’, Vedrà se potrà dartelo; Dumane vé’, Domani verrà.

Talchè, in sostanza, nei detti tempi, anzichè il verbo attributivo, è coniugato il verbo Essere o un suo equivalente.