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— VII —


caso vi ha fino a tre modi di scrivere una medesima parola: come per esempio si può scrivere lezzione, lezzejone e lezzeone; e degli scrittori taluni preferiscono l’un modo, altri un altro. Così pure nel dialetto si aborrisce dal terminare le voci per i, tanto che si possono contar sulle dita quelle che per i finiscono; e nelle desinenze in i preceduta da altra vocale è uso generale frapporre un j, scrivendo seje anzichè sei, faje anziché fai ec. Or in tutti questi casi ho creduto che bastasse registrare i vocaboli in un modo solo, ed i lettori si contenteranno di cercarli in quell’unico modo, altrimenti si sarebbe andato nell’un vie uno. Così chi non trova Lezzejone vada a cercar Lezzione, chi non trova Proverbejo cerchi Proverbio. Anche le voci accentate a cui per paragoge si aggiunge una sillaba son da cercare molte volte nella loro schiettezza.

Lettor mio, abbi pazienza, non ho finito ancora, ma sono in via di finire. Vi sono alcune parole che si scrivono in diversi modi, non per semplice varietà di ortografia, ma con piccola diversità di pronunzia. Or se queste avessero un solo significato, è chiaro che ciascuna dovrebbe occupare il suo posto nell’ordine alfabetico ed aver con se i proprii esempii; ma ciò non essendo, oltre al dover ripetere tutti i significati e le frasi sotto ciascuna, accadrebbe che non tutte avessero gli esempii appropriati, e quindi parrebbe miglior partito il farne un solo artìcolo. Col primo modo si ha sott’occhio le autorità che corroborano ciascheduna forma; col secondo, si ha una più compiuta distribuzione delle varie frasi e significazioni. Io lascio ad altri la cura di scegliere il migliore fra i due modi, pago di averli indicati; e dichiaro che mi sono servito ora dell’uno ora dell’altro, largheggiando di rinvii. Se ne avessi avuto il tempo e l’abilità, avrei scelto fra le varie forme la più usata e la più regolare, e radunando sotto questa tutte le altre coi loro esempii, avrei sotto quelle rinviato semplicemente alla prescelta, tenendo come norma principale quella che è la caratteristica del nostro dialetto, cioè, lo ripeto, che raramente e per eccezione si trovi l’i e l’u fuor della sede dell’accento tonico.

Una delle ricchezze del nostro dialetto è quella delle voci composte; ma nelle stampe si trovano per lo più scritte non in un sol vocabolo, ma distinte ne’ loro elementi: il che a me sembra che si possa fare soltanto allorché tali elementi si possono grammaticalmente reggere da se nel discorso. Per esempio, a me pare che si possa scrivere del pari Meza notte e Mezanotte. Non così quando di un composto che equivale ad un nome faccia parte una voce di verbo che da se sola non avrebbe officio nella proposizione. Scrivete, per esempio, tu si no zuca nnoglia, ed analizzatemi quel zuca grammaticalmente, e ditemi che ufficio si faccia. A questo sconcio, che si verifica anche per l’italiano, non c’è altro rimedio che scrivere e registrare tali nomi in una parola. Per non aver pensato a ciò i miei predecessori o hanno ommesso moltissimi di questi vocaboli composti, gli hanno messi in luoghi dove nessuno può pensare a ricercarli.

Vero è che ve ne sono alcuni, come sarebbe Arranca e fuje,