Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
vae victis! | 341 |
La stanza era completamente buia, le imposte chiuse, le tende calate.
Silenziosa e sicura come una sonnambula Mirella scese dal letto e traversò, lieve fantasma bianco, la camera.
Trovò l’uscio, l’aprì silenziosamente, percorse il corridoio e scese la scala — i passi dei piedini ignudi cadevano sul tappeto con la leggerezza di petali di fiore....
Dove andava? Quale pensiero la guidava così per la casa oscura e silenziosa?
Il ricordo! — Il ricordo della porta drappeggiata di rosso.
Null’altro vedevano i suoi occhi ossessionati, null’altro ricordava il suo spirito allucinato — nulla se non quella tenda rossa calata sopra una porta chiusa. Doveva rivederla.... rivederla.... ricordarsi perchè, come, quando l’aveva già veduta. Sì, bisognava rivederla.... E se quella porta si apriva — A quel pensiero il terrore indefinito in cuore di Mirella raggiungeva il parossismo — perchè sapeva, sentiva che se quella porta si apriva ella sarebbe morta.
Così, come sospinta da una forza irresistibile, ella giunse all’ultimo breve tratto di scala — i quattro larghi gradini costeggiati dalla ringhiera di ferro — e qui si soffermò trasecolante.
Anche nel buio sapeva dov’era quella porta.