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vae victis! | 337 |
il grido col quale sua figlia si sarebbe rivolta a lei, cadendole tra le braccia.
Nulla. Non avvenne nulla.
Per un fuggevole attimo un fluttuar vago, un bagliore pallido come di paura aveva tremato su quel piccolo volto calmo. Sì, la fanciulla aveva trasalito sul limitare della stanza — si era fermata d’improvviso cogli occhi fissi sulla tenda che drappeggiava in lunghe pieghe rosse la porta della camera di Chérie. Ma subito quel fuggitivo raggio d’emozione era svanito, come un piccolo lume che il vento spegne.
Poi — nulla più. Colle mani inerti, le braccia pendenti lungo il corpo, i ceruli occhi senza sguardo, ella rimase immota nel consueto atteggiamento d’abbandono — bianca, eterea, irreale, una creatura di serenità e di sogno.
E più che mai pareva un serafino stanco, che avesse smarrita la via di ritorno al cielo.
Nell’anima materna la torcia fiammeggiante della speranza cadde e si spense.
E il mondo per lei fu desolato e nero.