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a le mani.

Con un ruggito di belva egli si slanciò su lei, le afferrò i polsi, le strappò le mani dal viso. «No! Non è vero!» urlò. «Non è vero! Dimmi che non è vero!»

E frattanto sentiva con odio nella sua stretta quei polsi delicati e pieghevoli, vedeva con furore quella frale creatura accasciata davanti a lui in tutta la sua debolezza, in tutta la sua femminea acquiescente fragilità. Avrebbe voluto sentirla d’acciaio e d’adamante, per poterla spezzare e frantumare — per poterla stritolare e distruggere.

Prona a terra ai suoi piedi ella singhiozzava e piangeva. Florian per non colpirla, per non ucciderla serrava i pugni così stretti che le unghie gli si conficcavano nelle palme.

Guardava quel capo chino, i capelli vaporosi, la nuca bianca, le fragili spalle sussultanti.... Ah, Dio! Il nemico l’aveva avuta! Il nemico l’aveva tenuta e forzata e posseduta!

Questa creatura che gli era parsa quasi troppo sacra per il suo amore, questa eterea vergine liliale di cui egli non aveva mai osato baciare la fronte, i capelli, le labbra — aveva saziata la bestiale voglia dell’invasore!... Immondi soldati ubriachi avevano soddisfatto su di lei le loro lubriche brame — ed eccola lì, spezzata, contaminata, perduta!...