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vae victis! | 319 |
Egli non le chiese altro; la cinse col braccio, sorreggendola nel salire le scale. La porta del salotto era aperta e Florian entrò rapido guardandosi intorno nella stanza famigliare.
«Ah, sia lodato Iddio,» disse piano, e traendo seco Chérie che pareva quasi svenuta, chiuse la porta.
Gettò su una seggiola il largo cappello lacero e il lungo cappotto, ed apparve vestito di un’uniforme di tela scura come Chérie ne aveva veduto indosso ai feriti tedeschi.
«Vieni qui, accanto alla finestra — ch’io ti veda.» E la trasse a sedere dove l’ultima luce di quel crepuscolo di maggio le illuminava il viso. «Dimmi, Chérie, dimmi! Che cosa hai avuto?... Che ne è di te?»
Gli occhi di lui non si staccavano da quel pallidissimo volto, dalle fragili forme ritrose, dal chiarore delle chiome raggianti. «Dammi tutte le notizie. Pur troppo non potrò restar qui molto —» le strinse forte la piccola mano fredda — «sarebbe pericoloso per voi e per me.... A quest’ora le pattuglie batteranno tutta la regione per ritrovarmi — e per ritrovare il cappotto del giardiniere!» soggiunse con un rapido sorriso che lo fece per un attimo rassomigliare al Florian d’una volta. «Sono fuggito sette giorni or sono dall’ospedale di Liegi —»