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vae victis! | 281 |
Di quanto dicevano Florian non capiva una sillaba; ma questo capì: era salvo. Almeno per il momento. Qualunque fosse il significato di quelle parole, certo ad esse doveva la sua salvezza e l’ilarità amichevole di quegli uomini. Per quanto ancor confuso e debole, ebbe la lucidità di prenderà un’immediata decisione: se quelle parole l’avevano salvato non ne pronuncerebbe altre.
E difatti fece così.
Un po’ più tardi aggiunse un vocabolo di più al suo repertorio:
«Meschugge.» Florian stesso non aveva la più lontana idea del significato di «Meschugge,» ma lo udì pronunciare molte volte dal tenente prussiano e dai soldati che lo ricondussero, dignitosamente avvolto nella sua coperta, alle linee tedesche.
«Die Flundern werden sich wundern,» e «Meschugge.» Con queste sei parole, mormorate a intervalli tre o quattro volte al giorno, Florian passò incolume il fronte e le retrovie tedesche; con questo frasario entrò in un ospedale da campo prima, e poi in una infermeria di Liegi.
Ufficiali e medici lo visitavano, ridevano, gli battevano sulle spalle. «Famoser Kerl!» Qui non c’era errore. Costui non poteva essere nè