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vae victis! 177

un’esclamazione di ribrezzo cerca di spingerlo in là col piede. Dà un’occhiata in giro alla stanza; gli sembra vuota; allora si volta e se ne va pel corridoio; lo sento aprire altre porte, battere col pugno all’uscio di Luisa, donde una voce d’uomo gli risponde. Poi lo sento correre su, all’ultimo piano, in cerca di me.

Striscio fuori dal mio nascondiglio, incespico in quella terribile cosa che una volta era Amour, e scendo a precipizio giù per le scale e nel salotto. Mirella è ancora lì, legata alla ringhiera, il suo viso è rovesciato all’indietro, è livida, sembra una morta.

Ed è sola. — Non c’è che l’ufficiale dai capelli rossi che giace addormentato sul divano. Mi viene un’idea! Attraverso la stanza, che mi ondeggia sotto ai piedi come un mare, vado alla mensola dove Luisa ha lasciato la fiala del sublimato, l’afferro, l’apro, mi riempio le mani di quelle pastiglie rosse. — poi corro alla tavola.

C’è un calice ancora quasi colmo di champagne... vi lascio cadere le pastiglie — poi mi volto perchè sento qualcuno scendere le scale. Eccolo! È lui. È apparso in cima alla gradinata, accanto a Mirella. Mi vede e ride.

«Ah! la colombella che voleva sfuggirmi!...»

Io gli sorrido, indietreggiando verso la parte