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vae victis! 169

nare i miei pensieri e scrivere in queste pagine tutto ciò che di quei giorni e di quelle notti terribili mi è rimasto nella memoria.

Da un punto in poi ricordo tutto. Non so quando nè come fuggimmo da casa nostra.... ma mi ritrovo con Luisa e Mirella nascosta nei boschi; affamata, assetata, battendo i denti per la febbre e il terrore. Il mio primo ricordo è di aver visto, attraverso gli alberi, il campanile della nostra chiesa ardere come una torcia, e vacillare, e crollare in una densa nube di fumo e di fiamme.... Eravamo appiattate in un fosso, coi ginocchi nell’acqua, le teste chine sotto a un folto di rovi che ci laceravano il viso e le mani — udivamo da lontano il furioso galoppo degli ulani. Si avvicinavano.... si avvicinavano sempre più — finalmente li scorgemmo tra il fogliame fermarsi a pochi passi da noi.

In un cespuglio poco discosto erano accovacciati i due bambini della vedova Duroc, Carletto e Nino.

Ebbene noi vedemmo quei soldati — sì, li vedemmo e mi par di vederli ancora! — stritolare col calcio dei loro fucili i piedini di quei miseri bimbi, — beffeggiandoli poi, invitandoli con grossolane risate a «scappare a casa!...»