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XVII.

Cadeva già il crepuscolo — un grigio crepuscolo autunnale — quando Alberto all’indomani scese alla stazione di Muralto e prese la biancheggiante via maestra che conduce in breve salita al Pian del Cigno e alla vecchia villa dei marchesi Scotti di Castellazzo.

Riconobbe l’entrata del parco descrittagli dal giovane, decifrò il nome sul cancello; lo schiuse ed entrò. Il giardino era triste e incolto, le aiuole senza fiori, il viale maculato e molle di vecchie foglie infradiciate.

Per quanto Adriano Scotti gli avesse descritto lo stato di rovina in cui era caduta la vecchia dimora patrizia della sua famiglia, nobilissima ma ormai quasi povera, Alberto provò un senso di sconforto, quasi di sbigottimento, davanti alla decadenza e l’abbandono di quel luogo. Si avanzò a passi lenti, spiando le finestre: nessuna di esse era aperta o illuminata.

I suoi passi non fecero rumore sulla superficie umida e fangosa del viale; ma quasi subito, sulla porta della villa, in cima alla