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se nel cuore) poterglielo negare. Lo domandava coi gesti e cogli atteggiamenti, coi sorrisi e coi sospiri, coll’arrossire e coll’impallidire; con tutto lo domandava, eccetto che colla parola.

E Alberto, durante quei sette sacri giorni primaverili, vedendola camminare vezzosa e composta accanto a sè, e prendendole con affettuosa intimità il braccio sottile, più di una volta pensò che a quel muto, innocente e appassionato appello sarebbe stato dolce il rispondere.


Ripartirono.

Alberto ritornò nel suo studio e cominciò l’abbozzo di un quadro che doveva intitolarsi «Tre donne preganti».

Dopo un’ora gettò via i pennelli.

Raimonda!... Dov’era? Che cosa faceva?

Durante tutti quei giorni egli non aveva cessato di ripetersi che essa gli era uscita dal cuore; e assai se ne felicitava. Cento volte al giorno diceva a sè stesso con illogico compiacimento: — Se Dio vuole, a quella donna io non ci penso più!

E si meravigliava che gli fosse stato così facile l’oblìo.

Ma ora, ecco — era solo. E guardandosi