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48 | annie vivanti |
— Non mi pare di averti seccata molto colla mia famiglia, — disse. — Ma mi guarderò bene, d’ora innanzi, dal parlartene.
— E te ne sarò grata, — fece lei sarcastica e pungente. S’alzò e uscì dalla stanza.
Alberto rimase solo nel salotto profumato, di fronte all’orario ferroviario aperto e alla carta della Riviera stesa sulla tavola. I fiori olezzavano nei vasi, il grande oriolo Empire, colla sua stolida faccia circondata di smalto rosso, ritmava il tempo con battito forte. Alberto mosse qualche passo per seguire la sua amante, poi si fermò. Il battito di quell’orologio nel silenzio gli martellava il cervello come un monito, come un avvertimento.
Quanti minuti, quante ore, quanti giorni, quanti mesi della sua vita — della sua vita breve, unica, preziosa! — aveva egli già dato a questa donna? A questa donna nè buona, nè giovane, nè bella, che lo aveva ammaliato, infatuato, stregato? A questa donna che non lo amava più, e che lui, forse, non aveva mai amato?
— Ah! Ne ho abbastanza, ne ho abbastanza! — disse all’orologio e a sè stesso.
E uscì, sbattendo la porta.