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22 | annie vivanti |
ciglia. — Io detesto che si rida delle cose gravi. E l’amore è una cosa grave; l’amore è una cosa tragica e solenne. Io non concepisco l’amore che comincia con un sorriso e termina con un sospiro.
— E come volete che termini? — azzardò il giovane.
Ella lo saettò con gli occhi.
— Non deve terminare, non può terminare, — esclamò. — Io non ammetto che un uomo, il quale oggi mi ama, possa un giorno lasciarmi, riprendere la sua vita come se nulla fosse, parlare, camminare, ridere, scordare... o peggio! ricordare!... Ah! — e la signora rabbrividì, — è un pensiero mostruoso, abominevole. — Abbassò la voce e fissò nel giovane quei suoi occhi chiari, quasi fosforescenti tra le ciglia socchiuse: — Aveva pur ragione Messalina!... o era la duchessa di Nesle?... che quando aveva finito di amare un uomo lo faceva strozzare e gettare nel pozzo!
— Deliziosa amante! — fece Alberto, non potendo trattenere il sorriso. — Voi dunque, fareste gettare nel pozzo l’uomo che vi avesse amata?
Ella gli fissò in viso quel suo sguardo strano, senza rispondere, e Alberto ripetè l’interrogazione, variandola un poco.