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118 | annie vivanti |
lo aveva lasciato al meriggio, disteso sul suo letto in una prostrazione così profonda da parere un deliquio; austero, pallido e immoto come una marmorea figura scolpita sovra un sarcofago. Ricordava i suoi occhi chiusi... ah! quegli occhi chiusi! quelle tragiche orbite concave sotto le palpebre abbassate!
Alberto a quel ricordo tremò. Sì. La promessa fatta era sacra. E la donna che lo aspettava, qui, a pochi passi da lui, attenderebbe invano il suo ritorno.
Si fermò di scatto per figurarsi l’incontro con lei qualora fosse avvenuto; qualora — insano pensiero! — egli mancasse alla parola data e rientrasse in quella casa dov’ella lo attendeva. La vedeva venirgli incontro con quel suo sorriso ambiguo, quel sorriso fanciullesco e furbo a un tempo, che spesso aveva al ritorno dalle sue intermittenti assenze; gli occhi verdognoli un poco infossati e la vermiglia bocca pronta ai baci e alle menzogne.
Certo, per prevenire le domande di lui, ella gli avrebbe subito chiesto:
— Dove sei stato?
E lui, di ripicco: — E tu?
Ella allora gli avrebbe sciorinato le sue menzogne, quelle menzogne fluide e facili, che solo al ricordarle gli mettevano la dispe-