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Ed era felice anche lei. Me lo diceva mille volte al giorno:

— Sono felice!... felice!... felice!

E, passato il primo urto, il primo schianto di orrore, ella mi amava con una passione meravigliosa, una frenesia che mi sconvolgeva e mi rapiva.

— Tu non ami che me, — singhiozzava sul mio cuore; — tu non vedi che me... perchè tu mi vedi, è vero che mi vedi? Io sono vestita così... — E mi descriveva la sua veste, la sua pettinatura, i suoi ornamenti.

Ma presto non ve ne fu più bisogno. Io sentivo esattamente quale veste indossava, ne indovinavo financo il colore. Intuivo se ella era pallida, se aveva gli occhi bistrati, se le sue labbra erano smorte o ritoccate col carminio. E volevo che fosse bella; volevo che si facesse bella per me.

— Fàtti elegante, non trascurarti! — la ammonivo. — Pèttina meglio questi bei capelli. Voglio che tu sia bella! bella come ti ricordo... bella come quando ti vedevo.

E per un po’ di tempo fu così. Rosàlia si curava, si adornava, si profumava, per me, per me solo, per deliziare la mia mente e la mia imaginazione, per ammaliare i miei sensi che la percepivano quasi più acutamente che non quando la vedevo.