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106 | annie vivanti |
gravità. Non accadeva nulla. Indi, d’improvviso — al quinto o sesto giorno — ecco... come in un soffio!... la vista si spegneva. Il nervo ottico era distrutto.
Mentre egli mi narrava questo, Rosàlia, nella sua molle vestaglia serica, stava allungata sul letto accanto a me, avvinghiata a me. Io sentivo il suo corpo, dalla punta dei piedi alla spalla, rannicchiata nell’incavo del mio braccio; il suo viso nascosto nel mio collo. E l’appassionato abbraccio di Weill e l’intenso contatto della donna mi toglievano la paura, mi davano un caldo senso di conforto e di protezione.
— Weill! se sei pietoso, fammi morire così! — supplicavo. — Dammi un veleno... fammi morire così, senza ch’io lo sappia!
Allora Rosàlia prorompeva in lacrime, e Weill mi baciava, piangendo, la fronte e le guance.
E piangevo anch’io, spaurito e disperato. Ma non triste; non veramente triste. Sentivo l’amore e la pietà di quei due esseri fiammeggiarmi intorno con tale potente intensità, da non lasciar luogo al dolore.
La donna era tutto il giorno stretta a me. La passione e l’estasi la abbatterono nelle mie braccia in un parossismo di amore, in una frenesia di sacrificio.