Pagina:Vivanti - Naja Tripudians, Firenze, Bemporad, 1921.djvu/202

198 Naja Tripudians


ignorasse qualcosa: innocente di essere innocente, ignara della sua inconsapevolezza. Ma ecco che d’un tratto ella percepì di essere chiusa nel suo candore come in una prigione, avvolta dalla sua ingenuità come da una fitta nube, in cui disperatamente il suo spirito si dibatteva. L’istinto — folgore illuminatrice — aveva squarciato la sua notte, per rivelarle.... che cosa?

L’oscurità!

Colle mani strette alle tempia cercava di ragionare.

Aveva paura. Ma di che cosa?... L’oscura prescienza di un orrore ignoto le pareva più terribile di ogni altro terrore.

Aveva paura. Paura di questa gente. Ma perchè?

Non erano forse persone come tutte le altre? Persone ricche, persone vestite bene, persone affabili e sorridenti? Non erano già dei ladri che s’incontrano di notte per la strada, non già dei criminali feroci, o dei malati il cui contatto è letale.... Di che cosa, di che cosa dunque aveva essa questa paura insensata, frenetica?

Con tonante voce, l’Istinto, l’oscura guida, le rispose:

Fuggi!