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nezza nelle Indie, allorquando, invocato e adorato dagli indigeni come un dio, aveva creduto alla sua missione, aveva sognato di poter alleviare tante sofferenze, aveva sperato di liberare l’umanità da un mostruoso flagello....

— Ah! è questa la famosa Naja egiziana! — esclamò Wilmer chinandosi per meglio osservarla.

— Sì, Naja Tripudians, — ripetè il dottore, — quel nome getta il panico nelle popolazioni dei tropici. Ricordo il caso di un negro ch’era stato morsicato da un rettile perfettamente innocuo, ma che, udendo pronunciare da un mio marinaio quel nome, morì quasi istantaneamente di terrore.

Wilmer Laurence, chino accanto al dottore, contemplava il sinistro rettile.

— Il primo effetto del veleno, — continuò Harding, — è uno strano senso di ubbriachezza; la vittima inciampa e traballa come se fosse ebbra. Poi ammutolisce, per paralisi della lingua e della laringe.... Finalmente cessa il respiro. E lo sventurato è morto. È morto; ma il suo cuore, strano a dirsi, batte ancora....

E il dottore prese allora a parlare degli studi e delle ricerche che da trent’anni gli riempivano