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i divoratori | 79 |
dormiva meglio. Ma sua moglie restava sveglia, e pensava alla sorellina e ai suoi due fratelli che erano a casa, sani e salvi, col papà e la mamma.
Talvolta, e specialmente d'inverno, arrivavano a Davos dei turisti e degli amanti di sport per restarvi una quindicina o un mese. La signora Avory notava che questi ridevano molto meno degli ammalati.
E Fritz Klasen diceva:
— Guardate un po' come esagerano lo sport, pattinaggio, ski, «bobsleigh», «curling»! Si logorano, si affaticano! Sì, sì, — aggiungeva piano a sua moglie e a Edith, — quasi tutti quelli che vengono qui come «sportsmen» ci tornano poi come ammalati. — E il suo risolino faceva rabbrividire Edith.
La sposina talvolta sussurrava al marito:
— Guarda, guarda, Fritz! altri due, arrivati oggi!
— Ma forse sono turisti?
— No, no! sono ammalati... — E negli occhi giovanili che si volgevano ai nuovi venuti, non v'era dolore.
Caddero, uno dietro l'altro, i giorni, come goccie stillanti, lente, limpide, uguali. Fluirono i mesi. Svanirono gli anni. Ed Edith li varcò con passo leggiero e sempre più leggiero. Ma ancora e sempre il desiderio di rivedere Nancy le mordeva, con dente avvelenato, il cuore. Ogni ora della sua giornata era amareggiata dallo struggimento di udire quella voce trillante e puerile, di sentire nella sua il tocco di quella tiepida manina. Pensava: «Se io morissi, Valeria permetterebbe a Nancy di dirmi addio!». Poi pensava: «Ma se Nancy venisse, io guarirei. Adesso non posso mangiare, perchè ho sempre voglia di piangere... ma se Nancy fosse qui, non piangerei. Andrei a passeggio con lei, e mi verrebbe fame. E se potessi mangiare, lo so che guarirei. Nancy! Nancy! Nancy!...»