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i divoratori 77


neve che mi agghiaccia e mi soffoca, e il sole che mi brucia e mi accieca! Oh! — e alzò il pugno sottile verso l'immensità che torreggiava intorno a lei. — Oh! questa indescrivibile, questa mostruosa prigione della Morte!

In quel momento passò una giovinetta belga, con le labbra pallide e il vitino stretto, e si fermò per domandare a Rosalia come stava.

— Male, — rispose la russa, brevemente.

Quando la ragazza fu passata, si rivolse ancora a Edith.

— E saprete allora cosa vogliono dire quando vi domandano: «come state». Non è il solito «come va?» che si dice, passando, quasi senza pensarci. No; qui ~vogliono sapere~. Lo domandano sul serio. «Come state? state meglio di me? È possibile che possiate guarire più presto di me? No, no; mi pare che stiate un po' peggio di me... Come? da un mese non avete emorragie? E nessuna febbre? Ma brava!! così va bene!...» E poi vedete nei loro occhi l'odio che vi vorrebbe morta.

— Oh! — esclamò Edith, — non mi pare possibile!

La russa tacque per un po', poi disse.

— Klasen tornerà qui. Non è guarito. Il dottore gli aveva detto di non partire. Vedrete che fra poco tornerà.

Tornò, diffatti, quattro mesi dopo. Edith fu desolata di vederlo così pallido, quasi grigiastro, in faccia. Ora doveva fermarsi a Davos ancora due o tre anni. Ma Klasen diceva che non gliene importava! Era felice. Era sposato da un mese!

Difatti sua moglie era con lui; ed egli la presentò a Edith e alla signora Avory il giorno dopo l'arrivo. Era una biondina di diciannove anni — un fiore di sangue azzurro dell'aristocrazia tedesca — e aveva voluto sposare Klasen malgrado le preghiere e i divieti dei genitori.

— Lo farò guarire io, — diss'ella ridendo alla signora Avory e a Edith.