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i divoratori 75


dell'altra gente, della cui stretta non ci si accorge. «Buona notte,» all'uno. («Dio, che mano calda!» pensava la signora Avory). «Buona notte,» all'altro. («Che mano fredda e umida!») Mani di fuoco e mani di ghiaccio; mani aride che parevano doversi sbriciolare al tocco; mani umide che la facevano rabbrividire; deboli mani bagnate, da cui le sue palme rifuggivano. Ognuna di esse narrava la sua tragica storia. Ma i visi ridevano, ed i piedi danzavano e nessuno tossiva mai.

In breve anche Edith cessò di tossire. Il dottore glielo vietò. Ed essa tossiva soltanto di notte; quando nessuno fuor che sua madre la poteva udire.

Così passarono i giorni pieni di promesse, e pieni di delusioni. E Edith, sottomessa, con passo lieve, andava verso il suo fato.

Una sola cosa le straziava l'anima: era il desiderio angoscioso, lo struggimento intenso di vedere Nancy.

Nancy! Oh, Nancy! Nancy! Essa ripeteva piano quel nome mille volte al giorno, e chiudendo gli occhi, tentava rievocare il visino allettatore e i ricci neri ondeggianti al sommo della vaga testolina. Le pareva di sentire un vuoto, quasi doloroso, nelle mani febbrili, per la smania di stringere in esse quelle morbide mani infantili che in passato si erano così soavemente aggrappate a lei.

La signora Avory la consolava. In primavera, o al più tardi in estate, Edith rivedrebbe Nancy! Oh! certo, fra un mese o due Edith starebbe benissimo! Purchè bevesse molte uova crude e fosse ragionevole.

E Edith beveva molte uova crude ed era ragionevole.

Primavera, esitante e timida, scalò i mille cinquecento metri di montagna e arrivò a Davos alla fine di maggio.

Fritz Klasen partiva per tornare a Lipsia.

— Addio! addio! — Faceva il giro della terrazza nel-