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i divoratori | 73 |
— Come le piace Davos? — chiese.
— Tanto, — rispose Edith.
E il giovane approvò col capo e sorrise.
La ragazza russa aprì gli occhi neri e guardò Edith.
— È appena arrivata? — domandò.
— Sì, da tre giorni soltanto, — rispose Edith. — E lei, da quanto tempo è qui?
— Da quattro anni, — disse la ragazza, richiudendo gli occhi.
Edith volse il capo verso il giovane tedesco, scambiando con lui un'occhiata di compassione.
— E lei? — gli domandò.
— Io sono qui da otto mesi, — rispose il giovane. — Sono guaritissimo, e torno a casa in maggio.
La russa riaprì i cupi occhi infossati, ma non parlò.
— Va al ballo lei, questa sera? — chiese il giovane a Edith dopo un momento di silenzio.
— Un ballo? qui? — domandò Edith, sorpresa.
— Già, già! Proprio in questo hôtel, nel gran salone. Sicuro, si balla ogni mercoledì qui al Belvedere. E al Grand Hôtel ogni sabato. Questo è un posto dove ci si diverte molto! — E il giovane diede un piccolo colpo di tosse per schiarirsi la gola e canticchiò la «Valse bleue».
Quella sera Edith andò con sua madre nel gran salone, e sebbene non ballasse, si divertì assai. La signora Avory le chiedeva ogni momento:
— Sei stanca? Sei stanca?
Ma Edith non era stanca. Sentiva nell'atmosfera intorno a lei un vibrante e intenso eccitamento, a cui ella partecipava senza capirlo: era il perturbante, febbrile eccitamento di una danza macabra.
Fritz Klasen le venne davanti e, dritto, battendo insieme i tacchi, si presentò a sua madre e a lei.
— Mai più avrei pensato che Davos fosse così gaia,