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i divoratori | 61 |
che in tutte le sere passate ella non aveva recitato che per questo Nino; che per lui, per lui solo, ella aveva singhiozzato e pianto, riso e delirato. E vedendolo ora davanti a lei, con la faccia tra le mani, chino il bel capo ricciuto, ella si sentì nel cuore quel palpito intermittente che riconosceva e paventava.
— Misericordia! — sospirò. — Ho paura che sia un’altra cotta!
Era un’altra cotta.
IX.
Nella Casa Grigia a Wareside, Fräulein Müller leggeva ancora la Divina Commedia all’inconscio zio Giacomo. I fiori dei meli oscillavano nella mite aria primaverile. Le farfalle passavano come fiori alati sul capo di Edith che giaceva in un seggiolone al sole, troppo stanca per muoversi e troppo svogliata per leggere. La piccola Nancy correva per il giardino, coi ricci scompigliati, inseguendo i pensieri e le parole che le balzavano innanzi o le cantavano nella fantasia; e pensieri e parole si dividevano in strofe, si accoppiavano in rime, come fanciulli che danzano.
Sedute nell’ombra le due madri vegliavano; la signora Avory non distoglieva gli occhi dal volto di Edith se non per leggerle qualche libro, di cui presto la fanciulla si stancava. Valeria — placida e pietosa se Nancy era lontana — stringeva le labbra, fosca negli occhi, appena udiva Edith chiamare la piccina; e se questa correva all’appello, subito Valeria la chiamava, e la circondava con braccia gelose.