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394 | annie vivanti |
XXVII.
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«Miniera di San Juan.
«Nancy,
«E' finita l'attesa. Gli anni sono passati, i neri, tristi anni d'assenza e di solitudine.
«Parto di qui, per ritornare a te.
«Tu mi verrai incontro a Genova. E siederemo ancora su quel balcone dove — or sono tanti anni — tu mi dicesti del tuo Libro non scritto, del tuo Libro che temevi dovesse morire, come un bimbo non nato, nel tuo seno. Vengo a condurti a Porto Venere, bianca nel sole, come una Naiade che bagni la punta del piede nelle celesti acque marine. E il tuo Libro vivrà, vivrà alfine.
«E noi, anche, vivremo!... O Nancy, Nancy! Io sono da tanti anni così muto e solitario, che il mio amore non ha più parola. E nella mia vita buia e vuota la gioia entra come una piccola ombra spaurita, già pronta a volar via.
«Io l'afferro e la stringo, e le grido: «Resterai! Hanno termine alfine la solitudine e l'esilio!» Ma essa, la piccola ospite straniera, non lo crede.
«Anch'io non oso credere alla mia felicità, da troppi, troppi anni sospirata. Ma poi dico a me stesso che il cuore di Nancy non è un cuore che possa mutare. Nancy avendomi amato un giorno, m'ama, e m'amerà.
«E le parole che anni or sono, la trassero traverso l'Oceano a me, oggi ancora, oggi ancora me la riporteranno: — «Nancy, vieni a me!»